Se c’è un monumento simbolo di Roma, riconosciuto da tutti in quanto tale, questo è senz’altro il Colosseo. Lo vediamo ancora imponente a lato dei fori imperiali, e come quelli, mostra i suoi anni, con pochi marmi e il resto di mattoni. Ma non è stato lo scorrere dei secoli a renderlo così...
Se c’è un monumento simbolo di Roma, riconosciuto da tutti in quanto tale, questo è senz’altro il Colosseo. Lo vediamo ancora imponente a lato dei Fori Imperiali, e come quelli, mostra i suoi anni, con pochi marmi e il resto di mattoni. Ma non è stato lo scorrere dei secoli a renderlo così. Il marmo della facciata e di alcune parti interne del Colosseo sono serviti a mille usi, per costruire essenzialmente i palazzi dei papi e le chiese in tutta la città. Caduto in abbandono, per lungo tempo l'anfiteatro fu infatti usato come fonte di materiali da costruzione e si calcola che sia rimasto solo un terzo della costruzione originale. I Romani stessi iniziarono a riciclarne i materiali: vi era abbondanza di travertino, che si poteva usare com’era o cuocere per trarne calce. Il saccheggio proseguì durante il regno di Teodorico. Tutto veniva riutilizzato: le spesse lastre di marmo che rivestivano i corridoi, i blocchi di tufo, il piombo delle tubature, le grappe metalliche che tenevano assieme i blocchi, persino i mattoni. Successivamente fu la Chiesa. Infatti, benché poche siano le antiche fonti letterarie o epigrafiche che ne danno notizia, era l’unica istituzione stabile del tempo. Sappiamo infatti che Papa Gregorio Magno introdusse la pratica di trasformare le basiliche romane e gli antichi templi in chiese cristiane, attraverso lo spoglio sistematico dell’anfiteatro. Ne è la prova il nome scolpito su un pilastro del lato sud est del Colosseo, GERONTI V S. Tal Gerontius (V S significa VIRI SPECTABILIS) avrebbe ottenuto la concessione per smantellarne la struttura ed utilizzarlo come cava.
Nel XIV secolo gli Orsini ed i Colonna ottennero il permesso di cavare pietre e marmi. Nel 1362 Gil Álvarez Carrillo de Albornoz, vescovo di Orvieto, lamentava in una lettera al Papa Urbano V che non vi erano acquirenti per le pietre del Colosseo, tranne i Frangipane che avevano ordinato dei marmi per costruire un palazzo. Come detto, ormai purtroppo la licenza di asportare materiali, ovviamente a pagamento, era facilmente concessa dai Papi, i quali, mentre approfittavano della disponibilità dell’ampia ed economica fonte di materiali per realizzare i loro progetti, ufficialmente favorivano la conservazione delle antiche rovine. Pio II fece addirittura costruire un carro apposito per trasportare i blocchi sino a Palazzo Venezia.
Si preferì comunque non intaccare la facciata nord, sfondo monumentale alle processioni religiose nel percorso verso il Laterano. Ma dietro la facciata si continuava a cavar pietre, prova ne sia la ridotta presenza delle grappe di ferro di fissaggio dei blocchi. Nel 1439 queste furono utilizzate per riparare la tribuna della Basilica di S. Giovanni in Laterano. Nel 1452 ben 2.522 carichi di materiale furono asportati da tal Giovanni Foglia di Como. Dieci anni più tardi, i travertini furono impiegati per la costruzione della Scala Santa, delle mura della città, della Basilica di San Marco e di Palazzo Venezia. I blocchi più pregiati furono usati per la piazza ed il loggiato delle benedizioni a San Pietro. Nel secolo successivo il Colosseo contribuì alla costruzione del Palazzo della Cancelleria, di Palazzo Farnese, dei Palazzi Senatorio e dei Conservatori sul Campidoglio e nel 1634 di Palazzo Barberini. Infine, nel 1703, il travertino finì al porto di Ripetta, poi demolito per la realizzazione dei muraglioni del Tevere. Direbbero i Romani oggi: Porello !!
Carmela Marocchini, collaborazione dell'arch. Roberto Cattalani
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