Dicembre 2015, negozio affollato : E che é......ma che è uscito fuori fiume? prorompe ad alta voce un avventore entrando. Siamo a Roma e perciò si riferisce al Tevere, cuore liquido della città fiume ormai silenzioso e lontano, con cui i romani non hanno più nessun contatto, dalle banchine e dai ponti non troppo curati e perciò mal vissuti e poco frequentati. Eppure...
Dicembre 2015, negozio affollato : E che é......ma che è uscito fuori fiume ? prorompe ad alta voce un avventore entrando. Siamo a Roma e perciò si riferisce al Tevere, cuore liquido della città, fiume ormai silenzioso e lontano, con cui i romani non hanno più nessun contatto, dalle banchine e dai ponti non troppo curati e perciò mal vissuti e poco frequentati. Eppure la memoria delle alluvioni ancora colora il linguaggio di tutti i giorni. Fin dalle sue origini Roma ha avuto infatti il problema delle inondazioni del Tevere che, periodicamente, rompeva gli argini e allagava le zone basse della città, in particolare Campo Marzio, il Circo Massimo ed il Foro Romano, zone ad urbanizzazione intensiva. L'Aventino, al contrario, già ospitava, come oggi, le ville dei ricchi, al sicuro dalle acque. La cosa andò avanti fino a quando, qualche mese dopo l'arrivo dei Piemontesi, il fiume esondò ancora una volta, il 28 dicembre 1870. Il Ministero per i Lavori Pubblici nominò allora una Commissione, per risolvere il problema. La soluzione approvata fu quella avanzata dall'ingegnere Raffaele Canevari che prevedeva l'arginatura del corso del fiume da Ponte Milvio alla Basilica di San Paolo fuori le mura. Tra gli interventi veniva prevista addirittura la soppressione di uno dei due rami del Tevere all’Isola Tiberina, la demolizione del Ponte Rotto e la rimozione dei ruderi ed altri ostacoli esistenti nell’alveo. Si dovette attendere però il 1875 per ottenere i finanziamenti dell’opera, attraverso una legge proposta da Giuseppe Garibaldi, la quae permise di considerare gli interventi per la protezione di Roma dalle inondazioni opere di pubblico interesse. Come parlamentare, Garibaldi resuscitò l'idea di Giulio Cesare di allargare la pianura di Campo Marzio, deviando il corso del fiume. L'ipotesi suscitò un gran dibattito, con l'effetto di far riprendere i lavori della Commissione, che però rifiutò il progetto di Garibaldi, approvando quello conservativo dell'ingegnere Raffaele Canevari. I muraglioni furono terminati nel 1926, riuscendo nel frattempo a tenere la piena del 1915 che non fece danni, confermando la validità dell’opera. Le distruzioni tuttavia furono terribili ed interruppero definitivamente il dialogo tra la comunità e le sue acque, privando la città di alcuni importantissimi episodi architettonici. Scomparve il meraviglioso sistema di fronti lungo la via Giulia, come andò in parte smarrito il senso delle situazioni urbanistiche e architettoniche di molti edifici, anche importanti, sulle rive, dotati di giardini e approdi sul fiume, Palazzo Falconieri, Villa Farnesina alla Lungara. Scomparvero irrevocabilmente barcaioli e fiumaroli e le loro attività commerciali ed artigiane. Solo casualmente fu evitata l'eliminazione dell'Isola Tiberina ma fu distrutto porto di Ripa Grande del IX-X secolo, il più importante porto del Tevere. Distrutto anche il porto di Ripetta, realizzato nel 1704 da Alessandro Specchi con anche i travertini di un'arcata del Colosseo, caratterizzato da scalinate curvilinee e dall'oratorio di San Gregorio dei Muratori e dalla Dogana. Nel 1889 fu distrutta Villa Altoviti, di fronte al porto di Ripetta, una splendida villa suburbana, edificata nel XVI secolo e decorata con affreschi di Giorgio Vasari, con uno splendido giardino all'italiana ricchissimo di reperti archeologici provenienti dagli scavi di Villa Adriana a Tivoli, solo in parte conservati nel Museo di Palazzo Venezia. Il progetto di Canevari di conservativo ebbe ben poco!
Carmela Marocchini in collaborazione con l'arch. Roberto Cattalani
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