Come Colombo non scoprì le Indie,ma il Nuovo Mondo, anche lui se ne viene da lì. Originario del Messico, si diffuse nell’antichità tra le popolazioni del Centro America che lo coltivavano e lo commerciavano già ai tempi degli Aztechi, presso i quali era considerato pianta sacra con forti valori simbolici. Da noi arrivò verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della spedizione di Cristoforo Colombo, e nel nome ricorda l’antico qui pro quo dell’italico (?) navigatore. Non convinse subito, evidentemente, perché la prima descrizione dettagliata risale comunque al 1535, ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés nella sua Historia general y natural de las Indias. Conquista ancora scogliere e terre arse del Centro Sud, colorando di fiori gialli e sfumature rosse, gialle e rosso-violetto, il terreno aspro. Servì anche da noi a sfamare contadini e poveretti che dei frutti se ne riempivano la pancia, ed era per loro, a volte, unica produzione da commerciare tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno. Divenne valido confine di campi, difesi dall’intrico delle pale spinose. Oggi, la filiera produttiva del ficodindia è, a livello europeo, esclusiva della Sicilia che detiene il monopolio del mercato italiano ed oltre il 90% del mercato europeo. Contiene una buona dose di minerali come il potassio, il magnesio, il calcio, il ferro, insieme a vitamine dalle proprietà antiossidanti, come la vitamina A (sotto forma di betacarotene) e la vitamina C. Dispone inoltre di una varietà di amminoacidi (proteine di alta qualità) che insieme a minerali e vitamine ne fanno un alimento nutriente, ricco di fibre e con limitato contenuto di grassi. Pianta succulenta nel vero senso della parola, il Fico d'India, non se ne butta via niente: le pale spinose sostenute e croccanti, la buccia dei frutti spessa e coriacea cosparsa di mazzetti di spine sottilissime, la polpa tenera e dolce, ricca di zuccheri, ma piena di piccoli semi duri e legnosi. Facile è realizzare marmellate ed estratti liquorosi ma con curiosità e spirito d’avventura proviamo qualcosa di più. Tolte le spine delle pale con piccoli tagli alla base e liberati i frutti immergendoli per un’oretta in acqua, e tenendo conto di alcune avvertenze (http://www.greenme.it) ecco come soddisfare i palati nostrani :
PALE pulirle, eliminare le spine, tagliarle a cubetti, lessarle con sale e acero (2 cucchiai per 6 pale) per trenta minuti, sciacquarle per eliminare totalmente il gel, ripassarle in padella con cipolla aglio peperoncino e olio, gustarle così o farne bruschette con l’aggiunta di pomodorini
BUCCE pulirle, eliminarne le spine, toglierne le estremità, sbollentarle per due minuti, tagliarle a striscioline, aggiungetele a filetti di cipolla di Tropea, precedentemente soffritti con peperoncino e olio, mescolare una tazzina di aceto bianco con due cucchiaini di zucchero, cuocere il tutto finché basta, lasciare riposare almeno per mezz’ora e via. Una alternativa? Frittelle dolci!! Passarle nell’uovo sbattuto e salato, con l’aggiunta di un po’ di latte, poi nella farina e nuovamente nell’uovo, friggerle e spolverarle con zucchero a velo e , volendo, anche un po’ di cannella in polvere.
FRUTTI Tolte le bucce tagliarli grossolanamente e farli andare in padella con un soffritto di scalogno; appena comincia a diventare una poltiglia, toglierla dal fuoco e passare il tutto con un passaverdura, per togliere i semini e ricavare un succo da mettere da parte. Tostare il riso con un trito di scalogno e menta, sfumare con vino bianco e poi aggiungere il succo dei fichi d’india; unire brodo vegetale, fino a cottura, poi mantecare con stracchino, burro e parmigiano, completare con qualche fogliolina di menta, un filo d’olio extra vergine d’oliva e Buon appetito !!
Carmela Marocchini