Due verbi diversi per indicare l’allontanarsi da noi di un ricordo di qualcosa o di qualcuno, nel tempo e nello spazio. Due parole che sembrano essere andate incontro ad usura linguistica e, confuse, aver perduto nel corso della storia il loro senso più intimo e profondo. Termini soggetti a interscambio come già documentato in antichi testi letterari e oggi nel parlato, fino al punto da essere usati già nell’antico indifferentemente come sinonimi, ed ancora oggi in Italia, anche se con uso geografico diverso: Dimenticare più al nord, Scordare al sud, e non a caso. Ma, se le parole sono due e se i sinonimi hanno un significato simile ma non precisamente uguale, qual è la differenza? Allora, le chiavi, l’ombrello, il cellulare … insomma, gli oggetti si dimenticano e non si scordano. Scordare, ripulito dal pregiudizio di essere dialettale, contiene invece un valore affettivo in quanto parola del “cuore”, evidente nella sua radice semantica (kor). Dimenticare ha in sé la mente. Dunque, il primo parla di sentimenti e di affetti non più nel cuore, anticamente considerato sede di memoria e intelligenza vivida. Il secondo narra invece della mente, lucida, razionale, ripetitiva e fredda, che gioca con numeri (e, ahimé, con gli esseri umani, come non pochi fanno) e necessità della sopravvivenza, come appunto gli oggetti lasciati per un tempo altrove, o i “fatti” del passato fissati “in mente” alla stregua di figurine, realtà percepite, solo ricordo degli occhi e non di memoria interna. E all’opposto? Rammentare e Ricordare. Ma un altro verbo e un grande poeta, Giacomo Leopardi (in A Silvia), ci riporta all’affetto del pensiero/memoria interna, ampio, avvolgente, caldo come il sangue e le membra, intero come il corpo e, come il cuore, palpitante e vivo, il verbo Rimembrare:
"Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?"
[ … ]
Carmela Marocchini