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Apprendere la lingua italiana a Roma

Sentiamo un po' da Bernacca che tempo fa domani, si concludeva così il pranzo nelle case degli italiani, attorno al tavolo in cucina, davanti alla tv del Tempo che fa.  Un sogno forse (la misteriosa porta di Carcassona), una speranza e una certezza, perchè all'indimenticabile Edmondo Bernacca ci si credeva. Senza strumentazioni sofisticate e satelliti perduti in aria, ma senza andare a naso, parlava, con aria gentile e voce profonda, dell’indomani.  Io non prevedo, deduco, era solito dire, allontanandosi dall’immagine dello stregone che il “prevedere” porta con sé. Dedurre è un’altra cosa, è propria del fisico e dello scienziato, risultato di studi, esperienza, intuito, professionalità, il tutto messo in gioco sera dopo sera.  E anche di passione. Quella che lo spinge a 24 anni ad iscriversi ad un corso di Meteorologia, istituito dall’Aeronautica Militare, capitato per caso davanti ad una bacheca. Si appassiona, appunto, continua e approfondisce gli studi, scrive articoli e saggi, inizia a partecipare a qualche trasmissione, divenendo poco a poco la Meteorologia per eccellenza, lo scrutatore del cielo, il divulgatore di una scienza allora così lontana dalla gente comune, e invece spiegata con naturalezza e semplicità,  a partire dal 1968 col Tempo in Italia (poi Che tempo fa), rubrica pensata e realizzata da Bernacca, in onda nel telegiornale delle 13.30. La breve trasmissione riscuote subito un grande successo, tanto che i telespettatori vanno in rivolta quando nel 1972 la Rai la taglia da 3 a 2 minuti, e costringono la Direzione a ripristinarne il tempo e successivamente a spostarla poco prima del telegiornale della sera.  Non aveva bisogno il colonnello (tale rimasto per tutti anche se poi divenne generale) di talk show e gag come Fabio Fazio, il quale, decenni dopo, ne riprenderà il titolo (e la memoria) con Che tempo che fa, ma di una lavagna nera dove rendeva visibile con linee e gessetto la lotta disumana tra il ciclone e l’anticlone delle Azzorre, o della mappa dell’Europa che percorreva seguendo col dito la perturbazione numero 10 verso l’Italia dall’Atlantico, o, conciliante e sornione, inaugurando il tormentone Nebbia fitta in Val Padana, che, purtroppo, avrebbe stazionato lì anche il giorno dopo.  Perché non azzardava mai oltre le 24 ore le stranezze del tempo, attenendosi, da studioso incallito, alle carte del tempo. Mentre noi, sarà stata la suspence della sigla o di tutti quei circoletti, freccette, lettere e numeri, continuavamo comunque a chiederci Ma come fa, lui raramente sbagliava. Non come adesso, dove tra i vari siti dedicati, ne scegliamo uno che più di altri ci promette meglio !!

Carmela Marocchini

fonti web

 

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