L’amore per i piccoli felini viene da lontano: nella Roma Antica, il gatto rappresentava un compagno di vita terrena ed anche in quella pensata oltre la morte. Così importante al punto che alcuni reparti dell’esercito romano sugli scudi recavano come simbolo gatti di colori differenti. Auspicio di invulnerabilità? Da noi si dice che il gatto abbia sette vite! Dal loro canto, i Greci identificavano la dea Bastet con la loro dea Artemide, anch’essa protettrice di partorienti e fanciulli e Signora degli Animali. La dea Bastet tra i Romani divenne Iside, cui era dedicato in ogni città un tempio, il Serapeum. Si rafforzò nei romani il culto del gatto sacro. Oggi, tra le aree archeologiche di Roma, l' Area Sacra di Largo di torre Argentina è una di quelle più importanti del centro storico della città. Nella zona sono stati riportati alla luce i resti di quattro templi, che rappresentano il complesso più rilevante di edifici sacri d'età repubblicana media e tarda. La storia del complesso è molto complicata, con più strati sovrapposti, per i quali sono però state riconosciute la fasi principali, tutte databili con relativa esattezza. Affacciatevi per ammirare le rovine e guardate con attenzione : su muri, marmi e capitelli noterete anche tantissime gatti appollaiati qua e là. L’area, infatti, oltre alle numerose rovine, ospita una delle più grandi colonie feline nel cuore della città. La colonia sopravvive grazie al Comune di Roma e alle offerte dei turisti ma soprattutto dei gattari che offrono loro amorevole assistenza cibo e cure. Gattara d’eccezione: l’attrice Anna Magnani, che abitava nei pressi e spesso se ne prendeva cura.
Poi fatevi due passi: poco distante c’è via della gatta e, su un cornicione di palazzo grazioli, ci sta appollaiata una piccola statua di gatta che fu rinvenuta durante la costruzione della chiesa di Santo Stefano del Cacco, nel rione Pigna, sorta sulle fondamenta di un tempio romano.
Forse perché è un animale che non sta alle regole, o perché la Chiesa aveva l’obiettivo di far terra bruciata (cioè distruggere) di ogni pensiero diverso dal proprio, nel Medioevo il gatto se la vide brutta (cioè si trovò in una situazione pericolosa): venne associato agli eretici, alle streghe e ai demoni. Il gatto nero fu addirittura segnalato nel 1233 da Papa Gregorio IX come la reincarnazione di Satana e più tardi, nel 1484, Papa Innocenzo VIII scomunicò tutti i gatti e decretò che fossero bruciati tutti quelli trovati insieme alle streghe. Solo nel Rinascimento il gatto domestico venne rivalutato dalla Chiesa, tanto che il cardinale Richelieu lasciò parte della propria eredità ai suoi gatti.
Molti i proverbi in italiano sui gatti. Tra i tanti Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco (cioè Non contare su qualcosa se non ne sei assolutamente certo), Quando il gatto non c’è, i topi ballano (cioè L’assenza di autorità produce anarchia), Essere Quattro gatti (cioè Poche persone), Al buio tutti i gatti sono bigi (cioè In una brutta situazione, tutto è brutto), Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino (cioè Quando si esagera a volte si finisce male), La gatta frettolosa ha fatto i figli ciechi (cioè Chi fa le cose di fretta ha dei pessimi risultati), e, per finire, il detto Non c’è trippa per gatti!, nato nel Novecento quando i gatti di Roma erano alimentati a spese del Comune con razioni di trippa, ma in seguito l’insufficienza delle risorse suggerì dei tagli al bilancio e i gatti furono lasciati senza trippa!
Foto di Andrea Sintini e Michele Grimaldi
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