1870. Roma é Capitale d'Italia. La città si trasforma radicalmente e velocemente. Il tessuto urbano è ben lontano dal possedere le qualità di una capitale europea; storia, arte, ruderi e tradizioni popolari a volontà, ma una nobiltà bigotta, un clero che vive di rendita sui beni ecclesiastici, una popolazione di 250mila abitanti, analfabeta al 70%, abbandonata e misera, malridotta da malaria e briganti. Nessuna industria di tipo moderno. Nel corso dei successivi trent'anni, raddoppia la popolazione e la città costruita, quest'ultima enormemente ristrutturata ed irrimediabilmente danneggiata. Viene sventrato il Colle Capitolino per far posto all'Altare della Patria e stravolto l'assetto di numerosi quartieri, anche per la necessità di fare spazio ai Ministeri del Regno d’Italia.
In questo quadro si inserisce la realizzazione del quartiere Coppedè. Nel 1915 la Società Anonima Edilizia Moderna ipotizza una zona abitativa tra i Parioli ed i nuovi quartieri Salario e Trieste. Il progetto è affidato a Gino Coppedè. Il padre Mariano, orfano e povero, aveva riscattato le sue origini attraverso il lavoro, fino a creare La Casa Artistica, florida azienda di ebanistica. L'influenza paterna su Gino sarà determinante non solo per la sua formazione artistica, ma soprattutto per la voglia di emergere culturalmente ed economicamente. Nel 1881 si diploma presso la Scuola di Arti Decorative Industriali di Firenze ed inizia un praticantato presso la paterna Casa Artistica, dove apprende l’arte dell’intaglio e dove viene a contatto con alcuni architetti toscani.
Il quartiere prende questo nome perché l'architetto Coppedè se lo autodedica. In realtà non é propriamente un quartiere, è composto, infatti, solo da diciotto palazzi e ventisette edifici attorno ad una piazza centrale. Il progetto viene approvato nel 1916 nel piano regolatore del 1909 , tra non poche difficoltà e contrasti tra lui e la commissione edilizia che pretende una impronta più romana. Così Coppedè utilizza alcuni temi della Roma antica come le cornici e le modanature ed un grande arco che richiama gli archi di trionfo del Foro Romano ma, che, nell'eclettismo dell'architetto, diventa copia della scenografia di Cabiria, film del 1914. Altra stranezza; l'arco sorregge un lampadario, che non illumina una casa, ma una strada. L'arco apre ad un mondo fantastico, fatto di edifici con effigi di mostri a difesa della casa e putti innamorati, cavalieri e ritratti nascosti tra i portoni. Una Vittoria alata si sporge dalla torre e, più in là, la Fontana delle Rane
Nel 1927 quando l'architetto muore sono terminati solo i Palazzi degli Ambasciatori. Paolo Emilio André ne completerà il progetto, realizzando in pieno la curiosa e fantastica "visione" di Gino Coppedè.
Carmela Marocchini in collaborazione con l'architetto Roberto Cattalani
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