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Apprendere la lingua italiana a Roma

Seguire in TV la Notte degli Oscar ha affascinato anche noi. Artisti belli, quasi tutti, ricchi, tutti, intelligenti e simpatici, per lo più. Donne e uomini che vivono un etereo mondo di immagini che è sogno, anche al di fuori dallo schermo. E gli Oscar ne ratificano e ne moltiplicano il successo. Peccato che “Io Capitano” non abbia vinto premi. Film italiano duro, doloroso, testimone di violenza verso “gli ultimi del mondo”, personaggi e persone che coincidono, fiction e realtà indistinguibili. Insomma, lontano dal clima festante della manifestazione che riporta tutti giù per terra. Forse per questo non ha avuto l’attenzione che meritava? O perché altro? Invece abbiamo visto una passerella di splendidi abiti firmati dai maggiori stilisti italiani. La Moda e la Lingua. L’industria italiana della Moda lavora a tutto campo e comprende, oltre il settore dell’abbigliamento, anche quello dell’arredamento, della casa, degli uffici, ecc.  Perciò non solo abiti : è molto ciò che distingue lo stile italiano dal resto del mondo. La moda però fa la parte del leone e, in questo caso,  il Made in Italy è fortemente rappresentato dalle produzioni dei grandi stilisti, appunto, come Valentino, Armani e altri. Le “passerelle” di Milano compiono un balzo oltre frontiera con un oltre il 60% delle vendite, mediamente, all’estero. Importante è lo shopping turistico: le griffe tricolori si diffondono grazie soprattutto a cinesi e russi, i quali rappresentano i clienti più affezionati, seguiti dagli americani, che presumiamo, dopo gli Oscar, aumenteranno.   Massiccia perciò è la presenza di studenti stranieri che vogliono frequentare Università o Masters per lavorare nel settore. Diventa così necessario conoscere non solo il modo di vestire italiano in tutte le sue connotazioni anche culturali, ma anche sapere il Linguaggio della Moda, che, con le sue peculiarità  di lingua di settore, viaggia assieme all’ Italian Style.
Parlando del verbo PIACERE, perché non ricordare, per associazione, quel meraviglioso film, visto e rivisto non so quante volte, sempre divertente e amabile, e di cui ne avrete riconosciuto in foto gli straordinari interpreti? Sto parlando de A QUALCUNO PIACE CALDO, di Billy Wilder, con Tony Curtis, Jack Lemmon e la splendida Marilyn Monroe. Ne approfitto per introdurre il verbo italiano PIACERE, che noto essere di una certa difficoltà per gli studenti stranieri, in Homestay da me. A differenza della lingua inglese (“Some like it hot” è il titolo originale del film) il verbo ha bisogno della preposizione A, davanti a nomi e pronomi diretti, indiretti, indeterminati collegati al verbo, oppure in forma contratta. E, a seguire, tutto ciò che genera godimento. Così la forma corretta: es. A Maria piace il gelato, a lei piaceva uscire, le piacerà Giovanni, le piacerebbe che il mare fosse pulito, e, …a qualcuno piace caldo! Attenzione: PIACE o PIACCIONO? Dipende da quanti oggetti sono causa del piacere, PIACE se uno, PIACCIONO se di più- Così, per riprendere gli esempi precedenti, A Maria piacciono i gelati, le piaceranno Giovanni e Luigi, le piacerebbero mare e lago puliti
Da quando Matteo, alunno di terza elementare di un paesino in provincia di Ferrara, descrisse come “petaloso” un fiore pieno di petali si è aperta una voragine! La “fantasia al potere” investe anche l’italiano! In verità il termine compare verso la fine del 1600 ma è praticamente ignoto fino all’inventiva infantile (e immagino che Matteo non ne sapesse la già avvenuta esistenza), suffragata poi dall’accettazione da parte dell’Accademia della Crusca che lo ha incluso nel proprio vocabolario, poco meno di una decina di anni fa. L’ultima invenzione linguistica ci offre “boppone”, ad indicare una canzone dalla melodia semplice, cantabile, facile da ricordare. Come in altri casi, l’italiano ruba all’inglese termini che poi adatta alle proprie regole (e anche “petaloso” nel 1695 deve la sua nascita all’inglese James Petiver, famoso botanico di Londra che descrisse così una delle tante piante che riceveva dalle Indie (anche se lo prende dal latino). Altri “furti” implementano la nostra lingua, tra diffidenza e accettazione. Personalmente, mesi fa, il termine “spoilerare” mi ha lasciata perplessa: “non voglio ulteriormente spoilerare”, affermava alla radio la sceneggiatrice di un film accennandone la trama e non volendo darne i dettagli o peggio ancora, la fine. E mi sono detta, come molti altri, “perché non usare verbi quali “raccontare, narrare, anticipare, svelare la fine, dire come va a finire” (guastandone la sorpresa)? Perchè, con tanti sinonimi, si usa un unico termine che, in fondo, appiattisce qualsiasi sfumatura di significato, che è una tra le caratteristiche dell’italiano? Eppure, a differenza di “petaloso” che non ho più sentito pronunciare, “spoilerare” è entrato vigorosamente nel lessico nostrano, scritto e parlato. Un altro che “va per la maggiore” è “boomer”, riduzione di “baby boom” ad indicare quelli nati a partire dal termine della seconda guerra mondiale fino al cosiddetto boom economico. E’, in verità, un appellativo citato nel lontano 1968 dallo scrittore Nanni Balestrini ma introdotto dal 2018. Ironico e spregiativo, sta ad indicare una persona di una certa età non al passo con i modi di pensare delle nuove generazioni. Molto in voga in questi ultimi anni, anch’esso usato dai ragazzi, il verbo “blastare”, dall’inglese “to blast” ovvero far esplodere, far brillare, distruggere, far saltare in aria. Il gergo giovanile ne slitta il significato per il quale blastare è al posto di attaccare, deridere o zittire, soprattutto sui social network, chi ha detto una sciocchezza, o, a riprova della propria posizione di forza, chi si vuole intimidire. La lista dei furti si allunga poi nel linguaggio informatico: i termini inglesi si italianizzano, diventano verbi con l’aggiunta, di solito, della desinenza -are. L’esempio più diffuso è “chattare”, conversare online.
Se Pellegrino Artusi titolava LA SCIENZA IN CUCINA il libro che tra tecnica e letteratura elevava la tradizione culinaria italiana a Cultura gastronomica fatta di pesi e misure, oggi la sua intuizione, figlia di un Positivismo che faceva della scienza il modello di interpretazione della realtà, trova realizzazione. Si lavora per una Cucina Molecolare, frutto di collaborazione tra cuochi, fisici e chimici, specializzati in questo campo. L’arte culinaria potrebbe evolversi in modo infinito e oggi impensabile. Eppure c’è ancora un “lato oscuro”. Uno per tutti? Il “q.b.”!! Ovvero qualcosa, il sale, per esempio, che non si presta a peso ma lascia all’autore libertà di azione. E’ il “quanto basta”, così come il “pizzico di…”, o la …”. Nessuna prescrizione, ma gusto personale di chi cucina. Qualcosa che ha un “gusto” (è il caso di dirlo) irrazionale se paragonato alla scienza. Romantico. Poetico.
"Adesso" oppure "ora"? Una mia studentessa mi chiede quali dei due usare. Rispondo ” E’ uguale. Quello che ti piace di più". Meraviglia straniera!! Mi chiede ancora “Perché ci sono due parole per indicare la stessa cosa”? In effetti non è “logico”, ma in questo caso non c’è proprio differenza , non siamo computer, si tratta di stile personale, di scelta linguistica propria. Le sfumature di significato che caratterizzano la lingua italiana e che danno vita all’enorme quantità di sinonimi tra aggettivi, verbi, ecc. in questo caso si annullano nella misura del tempo. Fratelli gemelli sono anche “in questo momento” e “ mo' ”, di gergo dialettale. Meraviglia delle meraviglie straniere!! Lo stesso avviene per altri avverbi o locuzioni avverbiali. Ed ecco allora: dopo/poi/in un secondo momento, per un’azione successiva all’enunciazione presto/subito/immediatamente/istantaneamente/seduta stante, per un’azione che si è svolta, si svolge o si dovrà svolgere in brevissimo tempo, prima del tempo previsto talvolta/talora, per un’azione che si svolge a intervalli irregolari già/ormai/oramai, per un’azione che si è compiuta, è giunta a maturazione mai/giammai, per un’azione che non si è svolta, non si svolge, né si svolgerà in nessun tempo Quale scegliere? Beh, di volta in volta, provateli, tutti! #homestay #studywithteacher #studywithme #italianclasses #learnitalian #rome #vacanzeromane
The time seems to have gone when there was a clearly defined distinction between the three Italian personal pronouns that correspond to “you” in English, when one is speaking or writing directly to an interlocutor. These are tu (for children, friends and family), Lei (for social equals in a formal context or as a sign of respect for older people) and voi (for one’s social superiors or for a plurality of interlocutors). For example, in Manzoni’s 19th century epic novel “The Betrothed” (I promessi sposi) Fra’ Cristoforo addresses Renzo as tu, but Lucia as Lei, and Perpetua addresses Don Abbondio as Lei, while he replies to her with voi... The use of the informal tu in social media is now prevalent, and it is almost obligatory in order to underline the spirit of online democracy. This pronoun that is appropriate for a group of one’s peers and equals is generally adopted, in the attempt to blur the distinctions between people’s different ages and social classes, but it is not universally approved. While many internauts see the use of Lei as ridiculous and outmoded, others can be embarrassed or even offended when total strangers address them with the over-familiar tu. But how did these different pronouns evolve over time? The ancient Romans addressed their semi-divine emperor as tu, but then in 293 AD, Emperor Diocletian introduced voi as a respectful form for addressing the illustrious members of the Tetrarchy. Lei finally appeared in the 1500s, due to Spanish domination, especially in southern Italy. These various forms were thus established by a very slow and gradual process of interpersonal distancing. During the period of Fascism the formal use of voi was encouraged, as it harkened back to the glories of ancient Roman, in preference to the “effeminate” pronoun Lei, which became more usual again after the war (partly coexisting with voi, which has never fallen out of general use in the south of Italy). Finally, the youthful rebels of the ‘60s started extolling (and shouting at the barricades) the “democratic” pronoun tu. Current Italian usage tends to oscillate between the informal and friendly tu and the more respectful and official Lei. As regards my homestay students and myself, we always talk to each other using the nice, simple and homely tu!
1. Cercare una buona scuola di Italiano che segua il metodo comunicativo è, ovviamente, il primo consiglio. Gli insegnanti mettono in campo un approccio attivo alla lingua attraverso materiali “autentici”, letture, riflessioni grammaticali e comprensione dei testi, visioni di video e ascolti, giochi didattici, riordini e ricostruzioni di frasi, puzzle, scambi linguistici in “corso d’opera” tra gli studenti della classe, ecc. Normalmente è possibile partecipare a una prima lezione per capire come si svolge l’insegnamento. 2. Studio e impegno. Una buona scuola e degli ottimi insegnanti non bastano a coprire tutto il ventaglio di possibilità che ti farà mettere il turbo. Il tempo dedicato al personale studio deve essere costante. Stabilisci un cronoprogramma giornaliero dove l’italiano abbia il suo posto. Impara almeno 5 vocaboli nuovi al giorno. Memorizzali con ripetizioni frequenti durante l’arco della giornata e, parlando, usali quando ti è possibile, frequentemente ma non a sproposito. Raccoglili in una rubrica alfabetica creando il tuo personale repertorio linguistico. 3. Curiosità per lingua e cultura italiana. Informati su cosa avviene in Italia. Se prendi i nostri canali televisivi, segui i programmi di attualità, di tradizioni e politica. Entrerai progressivamente nel modo di fare e di pensare italiano. 4. Leggi racconti e romanzi recenti, giornali e riviste in italiano. Ti terrai aggiornato sui cambiamenti linguistici e avrai modo di sperimentare la lingua nei suoi diversi registri. Perciò, non trascurare neanche i periodici di settore, al fine di aumentare e ampliare il tuo bagaglio lessicale. Peraltro, termini specifici dello Sport e della Cucina, ad esempio, debordano dal loro specifico campo e colorano allegramente l’eloquio. Non disdegnare niente di scritto che non sia in italiano, dagli annunci di lavoro, agli opuscoli pubblicitari, ecc. 5. Scrivi con carta e penna, evitando, quando puoi, il computer. Esprimiti inizialmente in componimenti all’insegna della brevità e della sintesi: corte frasi di fondamentale struttura, ricerca di sinonimi, uso di proverbi ed espressioni tipiche scorrano dalla tua penna. L’immagine personale della tua scrittura servirà a farti ricordare termini e quant’altro. 6. Parla appena ti è possibile: se sei in Italia, la cosa è alquanto facile. Gli italiani sono accoglienti e ben disposti verso gli stranieri, oltre che essere dei grandi chiacchieroni. Se vivi fuori dai nostri confini, frequenta luoghi di incontro degli Italiani, associazioni o centri culturali. Stringi amicizia con un madrelingua: al rapporto umano unirai l’approfondimento e la fluenza dell’eloquio. 7. Canta. Le canzoni sono l’espressione musicale della cultura di un popolo. Raccontano storie, comunicano sentimenti, sono facili da ricordare, grazie al ritmo e alle particolari sonorità. Scegli i cantanti che più chiaramente danno voce al testo: quelli degli anni 60, a tal fine, sono i migliori, come ad esempio Lucio Battisti, Mina, Gino Paoli, Luigi Tenco. Trova i filmati in Youtube, impara a memoria le canzoni, cantale assieme a loro. 8. Guarda. I Centri di Cultura Italiana organizzano rassegne cinematografiche, così come film di nuova stagione sono presenti nel circuito estero. Mentre i film stranieri che arrivano in Italia vengono doppiati e perdono così il sonoro originale, fuori ogni film mantiene la sua lingua originale, con i relativi sottotitoli. 9. Ascolta. Le registrazioni sono importanti perché abituano l’orecchio a percepire il suono delle parole e a riconoscerle. Ascolta più volte senza stancarti. Quello che ti sembrerà inizialmente incomprensibile, acquisterà con la ripetizione un suo significato. Puoi aiutarti anche con i vocabolari in linea che, oltre a presentare i termini, ne danno anche l’audio. 10. Serviti dei Social per intervenire nei dibattiti e commentare post, per proporre argomenti di interesse collettivo. Iscriviti a gruppi di scambio linguistico, cerca corrispondenti cui inviare e ricevere mail.

E’ terribile pensare che per gli antichi romani l’arrivo della primavera fosse dedicato al dio della guerra, Marte. Così, in questo mese, i guerrieri tiravano fuori scudi, lance ed elmi e gli eserciti si rimettevano in marcia, in un inizio di stagione che tende al bello ...

Le chiacchiere, chiamate con nomi diversi a seconda delle regioni d’Italia (frappe, cenci, bugie, galani, rosoni, frappole, galani, frittole, crostoli), sono dolci tipici della tradizione carnevalesca. Fantastici rettangoli di pasta più o meno allungata...

L’evento del mese si svolgeva nell’antichità tra il  15 e il 18. Somma festa pagana erano infatti i Lupercali, dedicati al fauno Luperco, festa che culminava nella februatio (da cui il nome Febbraio), ovvero in un rito di purificazione dagli influssi malefici...